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SFOGLIANDO 124 ANNI

Nessun uomo è un’isola. Nemmeno un giornale lo è. La Gazzetta che festeggia oggi 124 anni lo sa. Lo sa l’Italia in cui ha vissuto e lo sport che ha raccontato. Tanto più in questi giorni duri, durissimi. Lo sapeva uno dei suoi fondatori, Eliso Rivera, l’avvocato che ebbe l’idea con Eugenio Camillo Costamagna di unire le forze per inventare queste pagine, il 3 aprile 1896. Per protestare contro la sanguinosa repressione dei moti di Milano da parte del famigerato generale Bava Beccaris, nel 1898, finì prima sulle barricate e poi in galera. Quando uscì, lasciò il giornale e se ne andò in Argentina.

Zatopek sull’aereo

Il fatto è che lo sport se la trova in faccia la storia. Può far finta di essere una cosa a parte, ma è un’illusione. Quando Candido Cannavò, futuro direttore, incontra Emil Zatopek sull’aereo per l’Olimpiade di Città del Messico del 1968, non gli chiede delle quattro medaglie d’oro vinte venti e sedici anni prima, ma dei carri armati sovietici nella sua Praga. E lui, il mezzofondista-maratoneta, gli dice: «Abbiamo perso, ma il modo in cui è stato stroncata la nostra primavera, appartiene alla barbarie». E non parla dei 5000 metri o della maratona.

Il Giro e le macerie

La storia siamo noi, queste onde del mare, canta Francesco De Gregori. E su quelle onde la Gazzetta c’è sempre stata, anche con il suo figlio prediletto, il Giro d’Italia. La storia dei 17 corridori che arrivano miracolosamente in una Trieste ancora contesa fra Italia e Jugoslavia nel Giro della ricostruzione. 1946: la sparatoria, i lanci di pietre il Giro delle macerie. Ma anche quello della ricostruzione, della fiducia, del futuro. Il Giro che non si scansa, si immerge nel Paese, nei suoi drammi. Altre macerie, quelle a L’Aquila, le macerie del terremoto, molto tempo dopo. Nel 2009. A poche settimane dal sisma, c’è una pedalata del ricordo. Appena 25 chilometri. «Non c’è bisogno di spingere sui pedali, qui è indispensabile, guardarsi intorno, respirare forte – scrive quel giorno Marco Pastonesi – riempire la banca-dati dell’anima, oppure il cuore. Il resto, mai come stavolta, è vita». Vita, quella che hanno perso in queste settimane tanti italiani e noi in queste righe non riusciamo a non pensarci. Vita fatta di tanta storia, di tanta Italia, magari pure un po’ di Gazzetta.

Buon Natale Sarajevo

Gazzetta che va in giro per il mondo. Come all’epoca di «Buon Natale Sarajevo!». Ci andammo nei giorni dell’assedio, di quella guerra che frantumava la Jugoslavia e metteva l’uno contro l’altro compagni di squadra che avevano giocato insieme. Bastò la lettera di una lettrice. E da lì cominciò la raccolta del cuore: aiuti sportivi di qualsiasi genere per chi stava soffrendo e non voleva smettere di fare sport. Come Islam Dzugum, il maratoneta che continuava a correre sotto le bombe. «In questa città che si trasforma a tratti in uno spaventoso tiro a segno – scriveva la Gazzetta intervistandolo nel 1994 – lui ha continuato a correre. Tutti i giorni».

Brera a salve

Aiuti sportivi. Era successo qualcosa di simile anche tanti anni prima. Sempre la guerra, ma la Prima Guerra Mondiale. Una raccolta per il fronte, «Chi offre palloni e guanti di boxe per i nostri soldati?». Impossibile dimenticarsi pure l’altra di guerra. L’orrore del nazifascismo, la Liberazione e un giovane che farà strada con le parole. Il 18 agosto del 1945, Gianni Brera comincia il suo viaggio in Gazzetta con «Atletica e dinamismo storico». E chiede in quest’Italia uscita a pezzi dalla guerra, un coach, sì un coach nel senso di «semplice allenatore: un uomo che insegna ai giovani a migliorarsi, a prodigarsi e a vincere. Noi abbiamo bisogno di un coach, ora: anzi di buoni coaches. Forse ne abbiamo, chissà? E verranno fuori, allora. Diamoci dentro a rinnovare il sangue. Torni il mossiere a sparare i suoi colpi per il via. Ma questa volta a salve, buon Dio: finalmente dei colpi a salve».

Luna catturata

Qualche anno dopo andremo pure sulla luna. Proprio così, c’era anche la Gazzetta a Houston quel 20 luglio 1969. La luna «raggiunta e forse catturata». Un’emozione travolgente davanti a cui l’inviato Luigi Gianoli invita a fermarsi un attimo. «A questo punto se ci è rimasto un respiro, se ci sono rimaste parole, bisognerebbe pregare. Oppure fermare il tempo nella cantilena di una ballata: c’era una volta una nave che scese sulla Luna, due uomini portava e non avevano più coraggio né paura, ma solo gli strumenti della loro salvezza sapevano guardare».

Wolfgang e il muro

La luna e la battaglia per conquistarla. Pure lei figlia di una guerra fredda che avvolgeva anche lo sport. Gli anni dei boicottaggi. Anche nel 1980 l’Olimpiade è zoppa. L’Italia ci va nonostante la rinuncia del blocco occidentale per l’invasione sovietica dell’Afghanistan. La Gazzetta definisce la decisione del Coni «un atto d’amore e di fiducia verso lo sport». Anni di piombo, di muri, di Olimpiadi dimezzate. E proprio dal sogno dell’Olimpiade riparte la Berlino del 1989. Che «senza muro chiama l’Olimpiade». Candido Cannavò racconta la caduta affidandosi a una testimonianza di un berlinese qualunque. «Quante eroiche fughe ci raccontò Wolfgang». Il muro caduto ci fa pensare a un domani diverso, ma gli anni che arrivano tradiscono molte speranze. Tanti anni dopo la Gazzetta racconta la strage mancata allo stade de France nel giorno del feroce attentato dell’Isis al Bataclan di Parigi: «Allons Enfants, non prevarranno» è il titolo dell’editoriale del direttore Andrea Monti.

Buio e luce

Ed ora di nuovo qui, ancora all’incrocio fra le due storie, quella della Gazzetta e quella di tutti. Un incrocio pieno di buio, però. Per tutto questo, gli auguri alla Gazzetta li allarghiamo all’Italia e a questo mondo sottosopra.

Valerio Piccioni – La Gazzetta dello Sport venerdì 3 aprile 2020

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