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Perché è difficile rinunciare a un evento come l’Olimpiade

E lei che fine farà? Lei che è stata cancellata solo da due guerre mondiali, lei che non è mai stata rinviata, lei che è rimasta l’ultimo avamposto dello sport mondiale di fronte alla feroce avanzata del coronavirus che sta stritolando calendari ed eventi? L’Olimpiade si specchia in queste ore in un dubbio che ha travolto le rassicuranti risposte diplomatiche sull’asse Tokyo-Losanna. Quelle del tipo «di spostamento non se ne parla», «non esistono piani B» e via andare. Da oggi, anche se non sarà presa una decisione, pure i Giochi faranno ufficialmente e inevitabilmente i conti con l’emergenza nella conference call Cio-federazioni internazionali. La diga può cedere, il pessimismo dilaga e il 69 per cento dei giapponesi pensa sia difficile poter gareggiare. E poi se senti Giuseppe Abbagnale, uno che le Olimpiadi le ha vinte e vissute alla grande, spingere per il rinvio, vuol dire che Tokyo sta veramente danzando sull’orlo del burrone.

Eppure la speranza resiste. Ci si resta attaccati perché anche quello serve, per pensare che il futuro sia più vicino di quanto le orrende notizie della quotidianità ci dicano. Nello stesso giorno in cui a Losanna si prenderà tempo, pochi chilometri più in là, a Nyon, casa Uefa, l’Europeo dovrebbe fare armi e bagagli e spostarsi a fine 2020 o addirittura al 2021. Naturalmente un mese e mezzo è un vantaggio di platino in questa corsa ogni giorno più dura. La partita inaugurale dell’Europeo era prevista a Roma per il 12 giugno, la cerimonia di apertura nel nuovo Stadio Nazionale tutto verde e legno è fissata per il 24 luglio. Certo c’è tutto il mare in tempesta delle qualificazioni saltate ovunque, salvo che nella boxe che sospende in extremis nella surreale Londra che pensa (o meglio lo fa il premier Johnson) all’assurdità dell’immunità di gregge. Ma proprio di questo si discuterà in questi due giorni con federazioni internazionali e comitati olimpici europei.

C’è però qualcosa di diverso che distanzia nell’immaginario di atleti e pubblico questi due eventi, Europeo e Olimpiade. Non è una questione di popolarità o di diritti tv. Ma di unicità. L’Europeo è una tappa di un calendario calcistico vorace, dove uno scudetto o una Champions, come peraltro potrebbe avvenire, sono in parte in grado di «compensare» le emozioni perdute. L’Olimpiade no, l’Olimpiade è qualcosa che per un atleta della maggior parte delle discipline del programma, rappresenta a volte persino l’appuntamento della vita. Ecco perché rinunciare a Tokyo sarebbe più doloroso. Anche perché in Giappone, in tanti o in pochi, ci sarebbe tutto il mondo, e questo è un mondo che domani avrà uno straordinario bisogno di rivedersi, di confrontarsi, di poter essere vicino non solo via computer o smartphone.

Il problema è solo uno: quando arriverà questo domani? Questa è una domanda terribile. Perché posticipare la decisione significa anche tenere gli atleti al lavoro e in allenamento in un momento drammatico. Ecco perché si dovrà andare avanti giorno dopo giorno, ora dopo ora, aiutare la speranza senza dimenticare mai che l’Italia e il mondo stanno gareggiando in una sfida diecimila volte più importante su altre piste, in altri campi, peraltro contro lo stesso avversario. Che non ha alcuna voglia di rispettare le regole, anzi si diverte ad averne di sue, misteriose e inafferrabili. È giusto aiutare la speranza, è giusto sognare che proprio con i Giochi il mondo possa sentirsi fuori dall’incubo. Ma per andare a Tokyo quell’incubo dovrà essere sconfitto. Altrimenti pure le Olimpiadi non avrebbero senso.

Valerio Piccioni – La Gazzetta dello Sport martedì 17 marzo 2020

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