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“Non esiste un mondo senza sport. Salviamo i Giochi per sentirci vivi”

La biografa del nuoto naviga a vista, il coronavirus ha annegato ogni certezza. «Le Olimpiadi a Tokyo? Se mai le faranno, magari spostate di qualche mese in avanti, io chiedo col cuore in mano soltanto una cosa: pensate agli atleti, non ai vostri interessi». Federica Pellegrini in versione politica. Ma anche privata: «Non ho l’età per aspettare a lungo». 32 anni il prossimo 5 agosto, la nuotatrice italiana più longeva e vincente non sa se li festeggerà ai Giochi in Giappone (24 luglio-9 agosto). Sarebbe la sua quinta volta a Cinque Cerchi, al momento deve ancora qualificarsi. A Pechino 2008 fu oro nel suo regno, i 200 stile libero. Quattro anni prima, l’argento ad Atene, a 16 anni e 12 giorni, l’azzurra più giovane su un podio olimpico. «Ma se a 20 anni potevo arrivare a un evento sportivo importante in qualsiasi situazione e pensare di giocarmela, ora devo calcolare tutto al centesimo. E mi trovo molto in difficoltà, nell’incertezza di queste settimane tristi». Federica, brutalmente: se la pandemia costringesse ad annullare queste Olimpiadi? «Una catastrofe. Non oso spingere il pensiero fino a questo punto». Fosse costretta? «Slittassero di un anno, aspetterei. Ma oltre neanche voglio pensarci. Perché un anno di attesa quando sei una ragazzina è un conto, a quasi trentadue può cambiare moltissimo. Però non rinuncerei alla mia ultima Olimpiade, non ho figli, non ho niente, non sarebbero dodici mesi in più di lavoro a cambiarmi la vita, andrei senza dubbio avanti. Certo, sarebbe da reimpostare tutto, fare un programma completamente diverso. La cosa positiva è che io non ho paura dei cambiamenti, però ce lo devono dire, e presto, navigare nel buio non va bene per nessuno. Spero si decida nelle prossime due settimane, nella peggiore delle ipotesi entro un mese, altrimenti sarebbe troppo tardi». Perché? «Quando prepari un’Olimpiade non devi sbagliare niente, il percorso è uno degli aspetti cruciali, deve essere preciso e cadenzato. Noi siamo in ballo da sei mesi col pensiero di gareggiare quel giorno esatto ai Giochi, e l’aspetto psicologico non è marginale all’allenamento. Per questo mi auguro che ci dicano in fretta se si disputeranno, quando, perché e come. Col cuore sono fiduciosa, dico che le faranno, anzi non lo metto in dubbio, anche se ogni giorno che passa mi convinco che saranno prorogate di qualche mese. O almeno è la decisione che accetterei più volentieri. Ho questa sensazione anche perché il coronavirus si sta spostando verso l’America ed è l’America che decide tutto. Persino Trump mi è sembrato favorevole a un rinvio. Chiedo soltanto che ci sia il rispetto della preparazione e ovviamente della salute degli atleti, non solo degli enormi interessi attorno, a cominciare da quelli delle televisioni». Lo sport è fermo in quasi tutto il mondo, e non è dato sapere fino a quando. «Ed è questo che più mi angoscia. Non è una situazione normale questa, non abbiamo certezza di quanto durerà. Migliaia di malati e vittime, nessuno immune. Fino a quando? Navighiamo a vista: siamo entrati in confusione nelle ultime settimane, piscine aperte, piscine chiuse, poi hanno deciso di chiudere tutto il Paese, per fortuna gli atleti di importanza nazionale possono continuare ad allenarsi e io riesco a farlo a Verona nel rispetto di precise norme di sicurezza: la vasca è accanto a casa, anche se ho ridotto a uno gli allenamenti in acqua. Ma con quale obiettivo? Eppure non possiamo allentare la presa, rimaniamo concentrati in questo vuoto di certezze, almeno per non arrivare impreparati se tutto verrà confermato. Il vero problema è che molti altri colleghi, di tutti gli sport, sono costretti a stare fermi, impianti sigillati, e se c’è una cosa intollerabile è che si disputi un’Olimpiade discriminante: tutti devono poterci arrivare con le stesse chance di preparazione. Stiamo parlando dei Giochi, ci sono in ballo quattro anni di vita personale e sportiva. In Italia siamo nell’emergenza e forse non al picco dell’epidemia, molti atleti sono fermi e non hanno un posto dove allenarsi». Lei ha cambiato il suo programma? «Per ora no, sono in linea con quanto previsto con il mio allenatore Matteo Giunta, ma il problema è come comportarsi da qui in avanti. Gli Assoluti italiani che si sarebbero dovuti disputare la settimana prossima a Riccione sono stati annullati pochi giorni fa, avevamo praticamente già il costume addosso per tuffarci. Non è un’immagine che uso a caso: l’aspetto mentale e psicologico della gara è cruciale, fa parte del training specie in avvicinamento a un grande appuntamento. Non la puoi riprodurre ma solo vivere quell’adrenalina nelle vene. Per sostituire Riccione, a Verona faremo delle prove a tempo tra di noi, una specie di allenamento ma col costume da gara, un 200 a secco. E anche se non è la stessa cosa io cerco di concentrami su questo, anzi di preoccuparmi di questo, perché al 29 luglio, data della mia ipotetica finale, proprio non voglio pensarci. La settimana seguente avremo una pausa che era già in programma, ma poi? Nei tre mesi più intensi verso Tokyo non si sa se saranno confermati tutti i collegiali, i meeting italiani, il Trofeo Settecolli e per adesso ancora chissà cosa sarà degli Europei a maggio. Non si può arrivare ai Giochi a scatola chiusa, senza una gara. Aspettare che il caldo freni il virus mi pare assurdo, sarebbe già luglio, cioè il momento di salire sul blocchetto di partenza. Dobbiamo sapere come e dove procedere, e saperlo subito, non c’è tempo da perdere. Tutta questa vaghezza è destabilizzante, per tutti: un atleta può giocarsi l’intera carriera». Intanto, la fiaccola olimpica è stata bloccata. «Ho sentito cose molto confuse in questi giorni: hanno fermato la fiaccola, ma poi le Olimpiadi le danno per confermate. Proprio ieri il presidente del Coni Giovanni Malagò ha detto che una possibilità è quella di convocare tutti gli atleti due settimane prima a Tokyo, ma secondo me questa scelta sconvolgerebbe la preparazione di tutti. Io per esempio che sono un’atleta pluritrentenne ho bisogno di fare un determinato percorso, come andare in altura fino a una settimana prima delle gare. Se mi convocano in Giappone con due settimane di anticipo, sarebbe un disastro, oltre al fatto che significherebbe stare nel Villaggio con migliaia di colleghi e nuotare almeno in 300 in un’unica piscina. E se uno è positivo? Contagia tutti gli altri. Ripeto, si decida in fretta, per garantire a tutti i partecipanti pari opportunità. Se non ai Giochi, simbolo dell’uguaglianza e della meritocrazia, dove? Spero non si perda l’occasione per ribadirlo e che il business non prevalga sul resto. Ne va della salute di tutti, ovviamente, oltre che dello spirito olimpico» A questo proposito, se venissero disputate a porte chiuse? «Bruttissimo, perderebbero di senso. Anzi, sarebbero un vero controsenso. E un mondo senza sport, come sta capitando adesso, non potrà mai esistere, anche se siamo chiusi in casa. Gli sportivi stanno cercando di dare esempi agli altri su come passare del tempo a casa, anche proponendo degli esercizi da fare in salotto. Lo sport non è solo questione di movimento fisico, ma di sentirsi vivi». Il calcio è stato l’ultimo a fermarsi in Italia. «Ho visto Malagò intervenire molto arrabbiato su questo tema da Fabio Fazio, mi è piaciuto e gli ho fatto i complimenti, perché se c’è una cosa che mi ha dato fastidio in questi giorni è che si è parlato solo di calcio. L’Italia è vero che va avanti solo per il pallone e che possono saltare il campionato e gli Europei, però esistono anche altri sport, altre vite, altre famiglie che non hanno lo stesso potere economico ma che quest’anno hanno le Olimpiadi che hanno sempre sognato e per le quali faticano tutti i giorni». Com’è cambiata la sua vita in queste settimane? «Esco con mascherina e guanti per andare a fare la spesa o portare Vanessa a fare pipì, anche se la mia bulldog francese non è proprio il prototipo del cane movimentato quindi uscire più di una volta al giorno quasi le pesa. Prima di entrare in piscina la dottoressa Tiziana Balducci ci prende la temperatura, ci ausculta i polmoni e poi ci dà in caso il via libera. Siamo protetti, e pochi, una decina in tutto compreso il bagnino, la vasca da 50 ci permette di mantenere la giusta distanza. Non vado a trovare i miei genitori che abitano a 45 minuti d’auto, ci sentiamo via Skype. Spero che ne usciremo presto, è tutta una situazione surreale». Lei era in America quando il Coronavirus è sbarcato in Italia? «Sì, al collegiale di Fort Lauderdale, e all’inizio forse l’abbiamo presa sottogamba, pensando che fosse una febbre più brutta delle altre. Ero preoccupata per mia mamma, che è immunodepressa ed è un soggetto a rischio, e per mia nonna, vista l’età. Per adesso sono rinchiuse in casa controllate da mio padre e sono più tranquilla. Temo per mio fratello Alessandro che lavora a Londra dove si parla di contagio di gregge e dove il primo ministro dice di prepararsi a perdere i familiari: sono scioccata per dei discorsi così fuori di senno. Io mio fratello sono pronta ad andarmelo a prendere a piedi per riportarlo in Italia». Cosa ci insegna questa emergenza? «Ne avremmo fatto volentieri a meno, ma forse impareremo. Io sono convinta che quando ne usciremo ci servirà a essere più rispettosi e a fare anche un po’ più gioco di squadra. A sentirsi forti come italiani. Di solito quando ti scopri vulnerabile e fragile è la volta che poi diventi più forte, almeno io ho vissuto questo nella mia vita. Forte non vuol dire infischiarsene degli altri, ma riscoprire il valore delle regole e dell’appartenere a una comunità. Io nelle cadute sportive ho sempre trovato aiuto nelle persone che mi stavano più vicine, invece in questa emergenza siamo tutti uniti, tutti insieme. Teniamo duro e pensiamo positivo il più possibile, e aspettiamo. Non possiamo fare altro, qualcuno deciderà per noi, spero non con la mente offuscata dagli interessi».

di Alessandra Retico – La Repubblica, 15 marzo 2020

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