Record dell’atletica azzerati (forse soltanto quelli anteriori al 2005). L’ha proposto la federazione europea, alla presenza del presidente Coe, che si è dichiarato favorevole. Ne leggete diffusamente all’interno. Un’iniziativa-shock, diciamo pure frastornante, che parte dall’esigenza di ripulire questo sport dalla montagna di sospetti di doping, purtroppo diffusissimo dagli anni 70 ad oggi. Prima di schierarci, e con molta cautela, sulla questione, una grande premessa: la vera atletica è quella della sfida uomo contro uomo o donna contro donna in un dato momento. Quella dei primati è una variazione sul tema che con gli anni è diventata una deviazione e infine quasi una perversione. Ci sono motivazioni tecnico-ambientali per concludere in modo incontrovertibile che le varie prestazioni non sono in realtà comparabili: altitudine, superfici di gare, vento, umidità e perfino raggio di curvatura delle piste (non uniforme). Nessuno si offenda se riteniamo Carl Lewis molto, molto più forte di Beamon che azzeccò però quel mitico 8,90 nelle particolarissime condizioni ambientali dei Giochi di Città di Messico ‘68. Di Owens ricordiamo molto di più il poker di medaglie d’oro, davanti ad una tribuna d’autorità traboccante di nazisti, che non il suo primato mondiale di 10”2 sui 100 metri.
La corsa al record, non importa quanto fasullo, ha mortificato innumerevoli gare di fondo e mezzofondo in decenni di meeting, con uomini soli al comando trascinati da lepri umane in serie. Impresentabili i primati delle maratone, che si corrono su mille tracciati differenti e imparagonabili. Inquinati in modo palese le «prodezze» di decenni di lanciatori, pieni di anabolizzanti fino agli occhi. Infarciti di interrogativi, alla luce di dozzine di scandali in serie, i limiti delle corse, compresi quelli degli africani. In realtà, se facciamo punto e a capo, ci liberiamo in gran parte di cose inutili o di veri e propri rifiuti.
Certo, non tutto può essere archiviato alla voce del posticcio e fraudolento: una buona quantità di record sono e resteranno frutto del talento e della fatica di campioni onesti. E’ doloroso, quasi spietato, cancellare anche i loro acuti. Non c’è alcun ragionamento che potrebbe sanare la ferita inferta a questi atleti e alla loro memoria. Tranne forse una considerazione: probabilmente anche loro, sia quelli che sono ancora con noi, sia quelli che appartengono al passato, dovrebbero essere orgogliosi che questo sport, l’atletica, possa ripartire in purezza dopo anni di inganni, anche grazie al loro pesante sacrificio.
Nessuno può purtroppo sottovalutare il fatto che la cosiddetta «regina dell’Olimpiade», lo sport da cui originano tutti gli altri, quello in definitiva più nobile, elegante e vitale, sia diventata nel tempo l’avanguardia dei bari e una delle discipline più corrotte dal doping. Un destino orribile cui l’atletica non può arrendersi supinamente. Proprio per questo il piatto della bilancia nella decisione pende a nostro avviso leggermente verso l’adesione alla proposta. A questi dirigenti addebitiamo la colpa di non aver saputo o voluto intervenire in tempo. Ora resta solo un’amputazione prima che la cancrena avanzi. Rinunciamo a sogni, miti, punti di riferimento, leggende: quasi intollerabile. In cambio però rivogliamo una volta per sempre l’atletica vera che ci hanno rubato.
di Franco Arturi (a pag. 25 de La Gazzetta dello Sport di mercoledì 3 maggio 2017)
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