
Insomma, non soltanto un errore di superficialità nato da una frequentazione ingenua di un amico, ma qualcosa che secondo i procuratori rappresenta il punto più grave, la «somministrazione» o «tentata somministrazione» di sostanze vietate. La sensazione è che l’inchiesta abbia cambiato pelle nei mesi. Nata probabilmente con il desiderio di punire peccati sulla carta veniali si è trovata a contestare reati sportivi molto più pesanti.
Ci si chiederà perché ciò che è stato ritenuto penalmente non rilevante, sia diventato una mazzata, o meglio una richiesta di mazzata, per la giustizia antidoping. Non è la prima volta che si verifica questa distanza. Ma qui siamo di fronte a una voragine. Ecco perché se Magnini, nel processo che verrà, si giocherà tutta la sua reputazione di campione, anche per i procuratori antidoping si tratterà di un impegno delicatissimo. In questa vicenda si incrociano la credibilità dell’organo di indagine del sistema italiano e quella di un campione che fa parte a pieno titolo dei grandi dello sport italiano. Una partita pesantissima. Che coinvolge tutto il sistema di Nado Italia, la struttura che gestisce l’intero antidoping nazionale con un’autonomia sempre più grande e che in un prossimo futuro potrebbe anche avere totale indipendenza giuridica. Per lo sport italiano il caso Magnini è un passaggio duro, durissimo, ma anche coraggioso.
Lo spunto di Valerio Piccioni – La Gazzetta dello Sport del 6 giugno 2018