Nella stessa città, solo poco più a nord: dal Forum, oggi un grande centro commerciale, allo stadio Olimpico. In mezzo qualche chilometro, 41 anni di storia e un’atleta che è diventata leggenda. Dai Giochi 1976 ai Mondiali 2017, nel segno di Nadia Comaneci. La metropoli del Quebec, con l’edizione n. 47 della rassegna iridata, torna capitale della ginnastica artistica e non ricordare la sua donna icona sarebbe stato impossibile. Troppo facile la scelta di Morinari Watanabe, presidente della federazione internazionale e di Richard Crépin, leader del comitato organizzatore: se Kyle Shewfelt, il canadese campione a cinque cerchi al corpo libero ad Atene 2004, è l’ambasciatore della manifestazione tra gli uomini, Nadia non poteva che ricoprire il ruolo tra le donne.
L’EMOZIONE Dopo la conclusione delle qualificazioni femminili avvenuta nella scorsa notte italiana, con in gara anche Vanessa Ferrari e compagne azzurre, stasera (senza rappresentanti tricolori) si assegnano le prime medaglie: quelle del concorso generale maschile. La signora Comaneci siederà in tribuna e i ricordi saranno più vivi che mai. Soprattutto quelli legati all’esercizio alle parallele asimmetriche di quella magica Olimpiade, di quando lei, 14enne romena, meritò il primo 10 della storia dei Giochi: la perfezione assoluta. «Montreal è parte di me – ha detto lunedì la oggi 55enne signora, nel corso della conferenza stampa di apertura –: ha definito la mia vita e quando mi è stato chiesto di fare da madrina ai Mondiali, ho provato sentimenti misti, a metà tra orgoglio e felicità. A 14 anni conoscevo poco o nulla del mondo e delle Olimpiadi. Sapevo solo che si trattava di una grande competizione e che in molti l’avrebbero seguita. Non immaginavo cosa significasse fare la storia, né cosa un simile successo potesse comportare. Poi gli anni sono trascorsi, man mano ho preso coscienza e ripensarci ora mi emoziona e mi commuove».
IL DIECI Montreal, dopo i Giochi, aveva già ospitato un Mondiale, quello dell’edizione 1985. E Nadia, nel corso di questi 41 anni, in città per un certo periodo ha pure vissuto, per poi tornarci più volte. Da ultimo nel luglio 2016, proprio per celebrare il quarantennale dell’impresa. Adesso l’occasione, però, è speciale. «Sono contenta che per una settimana la gente di qui possa parlare del mio sport – ha spiegato –: sono certa che in contemporanea ci siano tanti altri avvenimenti importanti, ma non più importanti di questo… E io sono lusingata di poterne far parte e di essere ancora nell’ambiente». Al Forum, anche mitica casa dei Canadiens dell’hockey ghiaccio Nhl, vinse tre ori, un argento e un bronzo: resta l’olimpionica più giovane della disciplina. «Credo che del mio 10 si parlerà per sempre – ha ammesso – mi è capitato di sentire qualcuno che, dopo aver fatto molto bene una cosa, l’ha chiamata “Nadia”: da non credere. Quel momento mi accompagnerà all’infinito. La ginnastica, del resto, mi ha dato tutto. Quel che mi è successo dopo aver smesso è sempre stata una conseguenza. Mi ha regalato anche un marito, conosciuto poco prima dell’Olimpiade».
LA STORIA E’ lo statunitense Bart Conner, di tre anni più anziano, a sua volta grande specialista, campione olimpico alle parallele e a squadre a Los Angeles 1984, incontrato nel marzo 1976 in occasione della prima American Cup disputata al Madison Square Garden di New York. Non che l’esistenza di Nadia, come è noto, sia stata rose e fiori. Tutt’altro. Cresciuta da mamma Stefania in un ambiente povero e modesto, a sei anni sarebbe stata notata dal guru delle pedane Bela Karoly e la sua esistenza da lì sarebbe cambiata. Le giornate, per anni, sarebbero trascorse scandite solo dal ritmo di allenamenti estenuanti, fino all’exploit canadese. Reggere il peso del successo e della gloria non sarebbe stato facile: Nadia conquisterà altre quattro medaglie olimpiche in anni di piena guerra fredda; avrà diversi amanti, Nicu Ceasuscu, il figlio del dittatore, compreso; vivrà crisi esistenziali; cercherà persino il suicidio. Poi, nel novembre 1989, con sei connazionali, la fuga a piedi oltre la frontiera e la richiesta di asilo all’ambasciata statunitense di Vienna. Ritroverà Conner, lo sposerà nel 1996 e da lui, dieci anni più tardi, avrà un figlio, Dylan Paul. I tre oggi vivono a Norman, in Oklahoma, dove gestiscono un’accademia di ginnastica.
IL PRESENTE «Non rinnego niente, soprattutto l’amore per la mia disciplina – ha sorriso domenica –: sogno di ripetere l’esercizio di Montreal 1976, di rivivere quegli attimi. Il nostro è uno sport speciale, difficile, unico. Devi apprezzarne ogni singolo piccolo aspetto. Senza passione è impossibile affrontarlo, a me è rimasta quella di quei giorni e vorrei che tanti delle nuove generazioni potessero viverla. Questo Mondiale inaugura un nuovo quadriennio e, assente Simone Biles, il pronostico al vertice, tra le donne, è apertissimo. Emergeranno tanti volti nuovi, sarà entusiasmante».
IL RACCONTO di Andrea Buongiovanni
(La Gazzetta dello Sport di giovedì 5 ottobre 2017)
A Brno per Hopes Cup e Kodokan session
Alice Bronzin e Bruno de Denaro, accompagnati dal tecnico Lorenzo Bronzin, sono arrivati oggi a Brno salendo subito sul tatami per l’esperienza dell’European Judo Hopes