Senza nome 4

Oltre la carica dei centomila diamo tutele al lavoro sportivo

Altro che medaglie, scudetti o record. Ora questo diventa piccolo, minuscolo, periferico. Qui c’è in gioco la stessa sopravvivenza di un bel pezzo di mondo dello sport. Perché la tragica emergenza del Covid-19 non ha solo cancellato o rinviato la stragrande maggioranza dei grandi eventi del 2020. È entrata nella carne viva, nel dna della parola sport, il posto che più di altri frantuma muri e accorcia distanze, un luogo “fisico”, dove tante persone si incontrano. L’esatto contrario di quanto stiamo facendo e di quanto dovremo fare per settimane e forse (forse senza forse) mesi. Dunque, la ripartenza ci sarà ma sarà soggetta a mille variabili. Questo amplifica i problemi. E rende necessaria una responsabilità e una solidarietà di sistema. Anche perché la cosa più stupida sarebbe pensare a un giorno in cui tutto finisce e si ricomincia da capo come prima. Ci sarà da ripensare parecchie cose. Lo dovrà fare il calcio, fenomeno sociale importantissimo spesso però dominato da una logica di fazione, con l’alibi dei grandi numeri. Che non sono però la giustificazione per un egoismo che fugge spesso da un approccio di squadra ai problemi. Ma anche altri sport, costretti a dolorose rese, si pensi a basket e pallavolo, dovranno inventare un nuovo equilibrio, limitare sprechi, costruire mutualità virtuose fra i diversi livelli dei loro mondi. Ma dovremo ripensare pure a questo straordinario e affascinante mondo dello sport di base. Quello che in questi giorni sta riempiendo la vita di molti di noi e dei nostri tablet o smartphone con una montagna di proposte. Un mondo che tiene con sé tanto volontario ma anche diverse ingiustizie e zone d’ombra.

Ieri è stato il giorno dell’assalto (centomila richieste in tre ore!) al sito di Sport e salute da parte dei «collaboratori sportivi» che cercavano l’agognato codice per formulare la domanda peri 600 euro di indennità. Tutto insieme si è scoperto che del milione di lavoratori dello sport, una gran parte non ha contributi previdenziali!

Lavora da vent’anni in una palestra o in una piscina e alla fine del proprio percorso professionale si ritrova con un pugno di mosche. Il tutto guadagnando molto spesso cifre con cui molto difficilmente si fa vivere una famiglia.

Naturalmente la speranza è che il ministro Spadafora trovi le risorse per riuscire ad arrivare a tutta la platea dei potenziali fruitori dell’indennità. Evitando una specie di «guerra fra poveri» fra chi guadagna meno (che oggi hanno la priorità) e chi di più (anche poco di più, senza avere la priorità).

Ma il problema resterà in ogni caso. E tutti dovranno fare la loro parte per risolverlo. Le istituzioni sportive: Coni, federazioni, Sport e salute. Anche e soprattutto gli enti di promozione. Dove convivono diversi esempi virtuosi ma anche numeri ambigui su cui non si è mai riusciti a costruire un censimento oggettivo delle attività e dei tesserati. E gli stessi imprenditori dello sport, quelli dei centri sportivi oggi sotto lo scacco di una crisi terribile: a loro va tutta la nostra solidarietà, non sarebbe giusto colpevolizzarli, tanto più in un momento così. Ma anche per il futuro del mondo in cui vivono, il lavoro sportivo – che è cosa diversa certo dal volontariato e da chi può permettersi di percepire solo un piccolo rimborso – dovrà avere tutte le tutele che merita.

Valerio Piccioni – La Gazzetta dello Sport mercoledì 8 aprile 2020

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