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Malagò sicuro «Tutto questo ci cambierà»

È tutto più vuoto, silenzioso, calmo intorno al palazzo «H» del Coni. La folla impaziente che accelera verso l’Olimpico prima di una partita e di un concerto, il traffico del Lungotevere nei giorni degli Internazionali d’Italia, i bambini della scuola di atletica che arrivano con il papà o la mamma allo stadio dei Marmi intitolato a Pietro Mennea. Mancano troppe cose in questi luoghi nel primo giorno in cui anche Roma entra nella «zona protetta» dichiarata dall’ultimo decreto del governo.

Presidente Malagò, quando ha fatto sport per l’ultima volta?

«Sabato, all’ora di pranzo».

Quale disciplina?

«Sono stato in palestra al circolo per preparare una partita del torneo sociale di calcio a 5. Nella squadra avversaria avrebbe giocato Roberto Mancini».

E invece?

«Tutto cancellato».

L’emergenza coronavirus ci sta presentando un conto tragico e si fa a fatica a parlare di qualcosa che non sia la vita e la salute delle persone. Ma fra i tanti effetti collaterali di questa vicenda che sta mordendo tutte le nostre giornate, ci sono anche milioni di persone che in queste settimane hanno perso o stanno perdendo un pezzo della loro vita: la pratica sportiva.

«Abituarsi a questa assenza è un problema per tanti. Ma questo è marginale, ed è persino riduttiva questa parola rispetto a quello che stiamo vivendo. Proviamo quasi vergogna a occuparci di tutto questo. Ora ci sono altre emergenze, altri problemi, altre situazioni, e ci sono da rispettare tutte le indicazioni che possono aiutare a fermare il virus. Poi, certo, possiamo aiutare la gente a vivere meglio in questo periodo. Penso per esempio a una campagna che possa invitare la gente a fare attività fisica nelle proprie case».

Com’è cambiata la sua vita in questi giorni?

«È stata stravolta. Su 15 appuntamenti, oggi ne sono saltati 13. Sono rimasti solo quelli con persone che lavorano in questo palazzo naturalmente rispettando tutte le norme di sicurezza. Domani, invece, nulla. Neanche uno è rimasto. La vede questa cartellina?».

Piuttosto vuota.

«Era sempre piena di inviti per eventi, presentazioni, convegni. Tutto annullato. Al tempo stesso ci sono tanti che scrivono, tante richieste di aiuto, tantissimi problemi da affrontare».

Quando ha afferrato la portata della tragedia che stiamo vivendo?

«Ho due figlie. Una vive a Dubai e un giorno mi ha detto “papà che succede? Questo è un bollettino di guerra”. L’altra, che è a Roma ed è incinta di otto mesi, era preoccupata e mi ha pregato di stare attento al nonno. Un anno fa, mio padre è stato salvato proprio grazie alla terapia intensiva e ai medici dell’ospedale Sant’Andrea di Roma. Ecco, queste situazioni mi hanno aiutato a capire la portata di ciò che sta accadendo».

Di polemiche forse ce ne sono state abbastanza e forse il dagli al calcio è anche un’esercitazione qualunquista. Però una parte del mondo dello sport, il calcio di Serie A, ha faticato a prendere coscienza di questa portata.

«Sì, ma io non voglio partire dal calcio di Serie A. Io posso raccontarvi quello che è successo domenica quando ho scaricato tre batterie del cellulare per rispondere a tutte le telefonate dei presidenti federali degli sport di squadre. Che facciamo? Ci fermiamo? Ci sono stati sport, vedi pallavolo, che a livello femminile si sono fermati e a livello maschile hanno giocato. O altri che a seconda della categoria, hanno fatto scelte diverse. Ho detto “signori, non è possibile”. Bisogna fare una sola scelta. E farla insieme».

Si è rivelata una strategia vincente dopo le furiose polemiche della domenica.

«Ma non è stata una scelta calata dall’alto. E non era una scelta fatta solo per il calcio. Dopo il Decreto di Conte sono arrivate le ordinanze delle regioni».

In qualche caso in contraddizione con il Dpcm…

«Per tutto questo abbiamo chiesto al governo un’indicazione univoca. E poi ci voleva una manleva, qualcosa che avallasse la scelta sportiva. Cosa che è arrivata con il decreto».

Con Conte e Spadafora non ci sono state discussioni?

«Hanno convenuto con questa esigenza. E si sono dimostrati sensibili anche rispetto alla necessità di rispettare gli impegni internazionali delle nostre squadre».

Quanto stiamo vivendo servirà a tutto il mondo del calcio per cambiare?

«Certo che cambierà. Questa cosa provocherà nella coscienza delle persone una convinzione: ci sono cose più importanti del calcio».

Intanto il campionato di Serie A rischia di non finire.

«Si deve procedere per gradi. In questo momento non si possono dare delle risposte, sicuri di quello che accadrà fra qualche settimana».

Nel decreto viene salvaguardata la possibilità di allenarsi per gli atleti di vertice. E su questo però l’Associazione calciatori ha posto il problema: come si fa a rispettare la distanza interpersonale di un metro in uno sport di contatto con il calcio?

«Come faranno, per fare un esempio, rugbisti e judoka in questo periodo. Troveranno dei modi per allenarsi, dall’attività aerobica al lavoro tecnico, il tutto con la presenza quotidiana del medico sociale».

Mentre parliamo si succedono punti interrogativi sui calendari calcistici. Ma è proprio un tabù l’idea di rinviare gli Europei?

«Non intervengo certo nelle decisioni che spettano alle federazioni internazionali e tantomeno quelle di un singolo sport. Posso solo dire che credo si stia cercando di prendere del tempo. E anch’io faccio il tifo perché le cose possano cambiare in meglio».

E le Olimpiadi? Perché ci si rifiuta di prendere in considerazione l’ipotesi di un rinvio?

«Le Olimpiadi non sono la cosa più importante, ma si tratta di un evento simbolicamente molto significativo. Sarebbe bello se fossero un vero spartiacque, se dimostrassero che il mondo può ripartire. Il Cio lavora per questo».

Ma le qualificazioni olimpiche sono in alto mare.

«Il problema più grande. Anche perché la cancellazione delle gare non riguarda solo chi deve qualificarsi. Anche chi è qualificato: perché una cosa è gareggiare da primo nel ranking della tua disciplina, una cosa da dodicesimo…».

Ha sentito gli atleti che si preparano per Tokyo?

«Tantissimi. Chiedono consigli, suggerimenti. Siamo riusciti a far partire Vanessa Ferrari e Lara Mori per Baku alla ricerca del pass olimpico per la ginnastica, Federica Pellegrini mi ha mandato un whatsapp domenica. Riesco a gareggiare a Marsiglia. Ma il giorno dopo me ne ha inviato un altro. C’era scritto: come non detto».

Lo sport italiano, come tutti i settori del Paese, è in ginocchio. Lunedì avete chiesto aiuto al governo per tutto lo sport, professionistico e non.

«Ci sono centomila società sportive in Italia, centomila società, che hanno dei costi fissi, la segreteria, l’affitto dell’impianto… Se non teniamo in vita tutto questo, quando potremo ripartire lo sport italiano sarà spacciato. Ma il governo percepisce l’importanza del nostro comparto».

Poi uno si può chiedere però se qualcuno non possa in questo mondo dello sport anche abbassare il suo tenore di vita e aiutare chi sta o starà decisamente peggio…

«Sarebbe un bel segnale, anche se io non posso entrare in questo discorso. Ma io sono convinto che questo accadrà».

Valerio Piccioni – La Gazzetta dello Sport mercoledì 11 marzo 2020

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