20200116_Gazzetta

L’italia delle truffe dai falsi invalidi ai fondi europei intascati dai clan

L’Italia del sommerso e dell’illegalità. L’Italia dell’intreccio mafia-imprenditoria: altra truffa colossale, altra maxi-operazione di Guardia di Finanza e Carabinieri.

Succede stavolta alle latitudini di Tortorici, il cuore del Parco dei Nebrodi, in Sicilia, dove ieri un blitz coordinato della Dda di Messina ha smantellato un’organizzazione costituita da boss e insospettabili professionisti per ottenere milioni di euro di contributi Ue per lo sviluppo dell’agricoltura su “terreni fantasma”. I finanziamenti finivano anche su conti esteri, in Bulgaria e Lituania, e tornavano ai clan. Solo un proprietario, privato del suo podere e minacciato di morte, ha trovato il coraggio di denunciare i malavitosi. E così sono scattate 94 misure cautelari, 151 le aziende sequestrate, 194 gli indagati: tra i 48 finiti in carcere, i vertici di due storiche cosche della mafia di Tortorici connesse con le famiglie mafiose catanesi operanti a Bronte e Randazzo, centri al confine tra le due province. Tra i 46 ai domiciliari, invece, ci sono anche un notaio di Canicattì (Agrigento), Antonino Pecoraro, 73 anni, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, e una decina di dipendenti dei Centri di assistenza agricola: uno è proprio il sindaco di Tortorici, il 39enne Emanuele Galati Sardo, pure lui chiamato in causa per concorso esterno.

Appena due giorni fa, scorrevano durante i tg le immagini dei ciechi che leggevano e degli storpi che si esibivano in balli di gruppo.

Ovvero i falsi invalidi che hanno beneficiato illecitamente, nel Palermitano, di indennità previdenziali o assistenziali grazie ad un’organizzazione che si occupava, in cambio di denaro, di tutta la trafila per ottenere il sussidio. E senza andare troppo indietro nel tempo, è di inizio gennaio il blitz con dieci arresti in Campania: in cella i componenti di una organizzazione che architettava finti incidenti stradali per truffare le assicurazioni. Coinvolti un giudice di pace, un cancelliere e un avvocato. Una catena del malaffare che non conosce confini, ripartita dalla già nota area del parco dei Nebrodi (il cui presidente, Giuseppe Antoci, nel 2016 subì un attentato cui è scampato grazie alla prontezza della scorta) e, attraverso la “mangiatoia” dei fondi europei all’agricoltura, all’eolico o alla formazione, si è allungata anche al Nord Italia, fino a Brescia (solo per restare alla cronaca di ieri), laddove è stata scoperta una truffa da 230 mila euro con le “auto fantasma” di una concessionaria online: 12 clienti raggirati e 6 arresti. E ogni giorno si ha notizia di casi di percettori di Reddito di cittadinanza senza averne requisiti, che continuano a lavorare in nero.

Un “sistema” nella sua vastità che ormai cammina “parallelo” a quello legale.

E l’ultima inchiesta del procuratore distrettuale di Catanzaro Nicola Gratteri, «Rinascita-Scott» (ribattezzata dal magistrato «la più grande operazione dopo il maxi-processo di Palermo»), è probabilmente il risultato più eclatante ottenuto nel contesto del cosiddetto “Mondo di Mezzo”, su cui per anni ha indagato la Procura di Roma. Proprio in Calabria la ‘ndrangheta è il fenomeno criminale che più di ogni altro, al momento, può contare ovunque su fitte reti di “amicizie”. Con professionisti complici, politici o massoni. Come avvenuto in Valle d’Aosta, dove il presidente regionale Antonio Fosson si è dovuto dimettere (presunto scambio elettorale politico-mafioso nelle Regionali 2018). O come è successo proprio a Vibo Valentia con l’inchiesta di Gratteri su mafia, usura e appalti: emblematico il rapporto tra i due principali indagati, il boss Luigi Mancuso, “Il Supremo”, e l’ex parlamentare Giancarlo Pittelli.

L’ultima scoperta sul malaffare nel Messinese ripropone poi l’allarme delle truffe comunitarie.

Nel rapporto Ue sul contrasto alle operazioni fraudolente, l’Italia ha confermato nel biennio 2011-2012 il record delle truffe. Nel programma 2014-2020 le risorse Ue destinate all’Italia ammontano a oltre 77 miliardi: 46,5 per le politiche di coesione e 31 per la politica agricola comune. Ma secondo la Guardia di Finanza – che ha svolto, dal 2014 al 2016, quasi 13 mila controlli – in 6 casi su 10 i contributi sono chiesti o ottenuti in maniera fraudolenta da “furbetti”, truffatori e criminalità organizzata.

Il business della malavita, intanto, ha fatturato 211 miliardi di euro solo nel 2017.

Cioè la cosiddetta “economia non osservata” (secondo l’Istat). Che equivale ogni anno al 12,1% del Pil, mentre il lavoro nero riguarda 3,7 milioni di persone. Ancora: secondo una indagine Ue del 2018, ogni anno in Italia perdiamo 236,8 miliardi di ricchezza a causa della corruzione, circa il 13% del Pil, pari a 3.903 euro per abitante. Numeri con cui sarebbe possibile varare diverse manovre finanziarie nell’altra Italia, quella della legalità.

Alessio D’Urso – La Gazzetta dello Sport giovedì, 16 gennaio 2020

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