Più insulti che applausi per i calciatori: ecco perchè

«E’ pazzesco — racconta il presidente dell’Assocalciatori Damiano Tommasi —, ma ormai in Italia viene più naturale insultare che incitare i propri calciatori». Questo è quanto riferisce la Gazzetta dello Sport in margine alle statistiche Aic sulle violenze di cui i calciatori sono oggetto in Italia. Ovvio che cambiando continuamente gli organici delle squadre, oggi è molto più difficile che si instauri un sentimento di appartenenza dei giocatori alla squadra e alla comunità.
Quanto al raccapricciante atteggiamento delle frange intellettualmente più deboli della tifoseria italiana, giova ricordare che ad esse è totalmente mancata la mediazione culturale che fa la scuola nei confronti dello sport. Quella capacità di decodificare i contenuti simbolici dello sport, che sono di contrapposizione competitiva, dove i contendenti mimano la lotta per la sopravvivenza, su un piano simbolico. Chi vince vive e chi perde muore, ma chi è stato sconfitto subito dopo può rialzarsi, far tesoro della sconfitta e sfidare di nuovo chi lo ha battuto. Questo è il contenuto altamente formativo che la scuola italiana ha sempre negato ai suoi cittadini e le conseguenze sono l’analfabetismo sportivo di gran parte delle tifoserie e la trasformazione del concetto di competitività in aggressione, la non accettazione della sconfitta, il sordo e cieco rancore verso i propri giocatori impreparati a rispondere ad aspettative laceranti.
di Valerio Bianchini (su La Gazzetta dello Sport del 28 ottobre 2016)
Ex c.t. della Nazionale di basket, Valerio Bianchini è stato il primo allenatore a vincere in Italia tre scudetti con tre club diversi: Cantù (1980-81), Roma (1982-83) e Pesaro (1987-88).

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