L’evoluzione del judo femminile, attraverso le rappresentazioni fornite dalla stampa negli anni, e la percezione di chi vive il movimento judoistico, rivelano tutta la propria importanza nel lavoro di Almudena Lopez, basato sull’analisi approfondita di documenti, interviste, letteratura e pubblicazioni a mezzo stampa. Un lavoro di ricerca certosino, nato per la necessità di dare ancora allo sport che ha dato così tanto a lei.
La ricerca condotta dalla Maestra Lopez si è svolta attraverso ricerca, analisi e misurazione dei dati, con l’obiettivo di prendere decisioni basate su elementi oggettivi che non si prestassero a interpretazioni.
Due i testi fondamentali ai quali la M° Lopez ha attinto, scritti dalle campionesse giapponesi Kaori Yamagouchi e Noriko Mizoguchi.
Kaori Yamaguchi è stata campionessa del mondo U52 kg nel 1984, bronzo olimpico nel 1988 a Seul e ha vinto in totale 5 medaglie ai campionati mondiali (un oro e quattro argenti), confrontandosi in carriera anche con l’italiana Patrizia Montaguti. Noriko Mizoguchi è stata la finalista olimpica del 1992 a Barcellona e, pochi anni più tardi, ha vinto il Torneo di Parigi (1996). Curiosamente, fu proprio un’omonima della M° Lopez, la campionessa spagnola Almudena Munoz, a conquistare l’oro nei 52 kg a Barcellona 92 ai danni di Noriko Muzoguchi.
Anche in base a questi due testi, fondamentali per la ricerca della M° Lopez, le conclusioni della tesi sono che l’unione aumenta la partecipazione femminile e che siamo stati noi stessi, intesi come comunità del judo, a creare differenze tra maschi e femmine all’interno del judo.
Nel presentare il proprio lavoro, la M° Lopez ha richiamato brevemente la storia del judo, toccandone però gli aspetti meno pubblicizzati: il coinvolgimento delle donne, poco conosciuto anche per mancanza di dati ufficiali, le fotografie, molto rare e poco diffuse e un generale disinteresse nel presentare le donne come parte del movimento in un ruolo quasi paritario rispetto a quello degli uomini.
Secondo gli studi della M° Lopez, già il Ju jitsu includeva donne praticanti ed esistevano anche donne samurai.
Poi è stato introdotto il metodo judo, la cui evoluzione, com’è noto, è passata da arte marziale a metodo educativo grazie a Jigoro Kano e, infine, a sport olimpico. Tre concetti distinti che, ai giorni nostri, si tende a mescolare.
Quando il Jujitsu arrivò in Occidente, agli inizi del XX secolo (1907), era visto come una forma di intrattenimento, per assistere alla quale si pagava. La cosa curiosa è che, in questo contesto, venivano ammesse anche le donne, in quanto questo tipo di lotta veniva presentato come differente: senza armi e non necessario di una forza straordinaria per esser praticato, quindi, eseguibile anche dalle donne.
Quando Jigoro Kano iniziò a presentare il proprio metodo Judo, in Giappone si sparse la voce che avesse creato il Ju Jitsu delle donne, perché aveva preso tecniche diverse da varie scuole, adattandole in modo da renderle più morbide e perché consentiva anche alle donne di praticarlo. Esistono alcune fotografie che attestano che già dal secondo anno di esistenza del Kodokan ci fossero delle allieve accettate nel gruppo.
Nel 1926 si creò la prima sezione femminile, per lo più formata dalle familiari dei judoka presenti, perché dovevano essere seguite da un tutore maschio, che doveva controllare l’allenatore. Agli altri maschi era proibito guardare gli allenamenti.
Per venire a conoscenza della presenza femminile nel judo degli albori l’immagine fotografica è fondamentale, benché non si tratti delle immagini ufficiali di Jigoro Kano. Si tratta di fotografie personali delle donne che volevano un ricordo di quei momenti.
Jigoro Kano diceva che per vedere quello che era il judo originale, dovremmo guardare alle donne, perché il judo, in quanto arte marziale, veniva identificato come una modalità d’uso della forza, mentre egli non voleva che fosse quello il concetto dominante, ma che prevalessero i principi del judo come via della flessibilità.
In una fotografia del 1959 le donne vengono mostrate nell’atto di fare una sorta di balletto all’interno del Kodokan e, stando alle fonti, esisteva addirittura un kata, detto Judo Buyo, espressamente pensato per le donne, con tanto di sottofondo musicale, che è un insieme di movimenti ed esercizi.
La prima volta che per davvero il judo femminile venne presentato ufficialmente al Mondo fu quando alle Olimpiadi di Tokyo del 1964 Keiko Fukuda presentò il Ju No Kata, che diventò l’emblema del kata delle donne. La pratica femminile, fin da allora, venne fortemente relazionata al kata e alla difesa personale.
Analizzando il modo in cui il judo venne presentato inizialmente nei diversi Paesi del Mondo, emerge che in America lo vedevano come “salute e autodifesa”, in Europa come “autodifesa e sviluppo femminile” e in Giappone come “Meditazione e cura”, mentre la stampa vi si riferiva come una rarità e una curiosità.
Un passaggio storico abbastanza rilevante, ai fini della ricerca della M° Lopez, è stata la possibilità, segnalata sui giornali spagnoli, che finalmente anche le donne, in tutta Europa, potessero salire di grado acquisendo dan superiori al primo – anni ‘80. In Giappone il limite per le donne era quello del 5° dan, per quanto non si riscontri nella documentazione ufficiale: la stessa Keiko Fukuda, per anni, non poté acquisire un grado più alto e terminò la sua vita con il 9° dan.
In un articolo del 1973 si evidenzia come le donne stessero lottando per poter partecipare alle Olimpiadi: la proposta nasceva dai Paesi Europei e l’Italia era in prima fila, come ha testimoniato Laura Di Toma, presente alla conferenza. Fu però la judoka americana Rena “Rusty” Kanokogi a dare vero impulso al movimento agonistico femminile, organizzando nel 1980 il primo Campionato del Mondo femminile. A chi fece medaglia in quell’occasione, Kanakogi chiese di scrivere al CIO per sostenere la causa dell’ammissione del judo femminile alle Olimpiadi: nel 1988 a Seul venne approvata una formula dimostrativa e finalmente, nel 1992, venne approvata ufficialmente la partecipazione femminile, mentre il primo corso per arbitri donne a livello europeo venne invece approvato nel 1975.
Sulla stampa spagnola, la figura femminile delle agoniste venne presentata attraverso una delle prime campionesse dell’epoca (vice campionessa europea), in cui l’immagine era quella di una ragazza sorridente, mentre il testo ne sottolineava l’avvenenza, la capacità di portare avanti i lavori di casa e che aveva un figlio.
Da parte della Federazione sportiva l’interesse verso le donne era evidentemente relativo alla diffusione della disciplina, all’apertura di nuovi club e alla necessità di avere nuovi “clienti”. A livello politico, nel 1975, morì il dittatore Franco, determinando un cambiamento non di poco conto, che tuttavia, sarebbe stato comunque lento.
Ne è riprova la pubblicità che viene fatta sui giornali per proporre il judo, ancora considerato uno sport prettamente maschile: “Affidaci tuo figlio e ne faremo un uomo”. Mentre alle donne venivano riservate vignette più o meno satiriche e ironiche.
Con il passare degli anni l’immagine che venne data del judo femminile fu di campionesse con capelli scompigliati, i visi contratti e aggressivi; spesso le immagini proposte mostravano l’esecuzione di sankaku, da vari punti di vista, perché è una tecnica che sembra strano vedere eseguita da una donna. Ancora, si presentava l’immagine di una campionessa che piangeva per aver conquistato il titolo, evidenziando il contrasto tra la dolcezza della donna, che restituiva un’immagine ancora vulnerabile, ma comunque vincente.
Soltanto in seguito (anni 2000) all’immagine femminile venne data un’altra connotazione, passando radicalmente da dolce a forte: per cercare un’uguaglianza maschio-femmina, si è cercato di emulare le caratteristiche maschili.
Anche l’immagine del kata è stata bistrattata in tal senso: in anni ancora abbastanza recenti anche il maschio che non funzionava in gara, veniva mandato a fare kata, aiutando a diffondere un’immagine negativa e di minor livello.
Tornando al judo femminile, in ogni livello – pratica agonistica, insegnamento, arbitraggio – si è partiti in ritardo. Le prime che hanno realizzato questo ritardo naturalmente sono state le donne: Keiko Fukuda, che era la nipote di uno dei maestri di Jujitsu di Jigoro Kano, il quale era andato a cercarla affinché si unisse al Kodokan e “Rusty” Kanokogi.
Jigoro Kano spinse alcuni insegnanti del Kodokan a portare il judo in giro per il Mondo e Keiko Fukuda scelse di andare in America, dove si dedicò in particolare agli aspetti legati alla salute, alla meditazione e al kata, senza allenare alla gara, perché questa era la sua idea del judo. Agli antipodi rispetto al pensiero di Kanokogi, che invece amava l’aspetto agonistico, al punto da travestirsi da uomo per partecipare alle prime competizioni, quando ancora le donne non erano ammesse, vincendo, ma venendo anche scoperta e quindi vedendosi portare via la medaglia d’oro, che le venne restituita solamente nel 2009, poco prima della sua morte.
La competizione e le pioniere del judo femminile, hanno fatto sì che si arrivasse a una prima possibilità di parità nel judo.
È sintomatico vedere come a Uzemu Katsuko, unico 9° dan donna vivente del Kodokan, che ancora insegna, non abbia ancora ricevuto il 10° dan, che, con tutta probabilità, sarebbe stato conferito a un uomo. Del resto, il dan alle donne è ancora oggi indicato come “dan femminile”.
In conclusione, Il judo è uno sport tradizionale, ma è necessario che tutti ci adattiamo al cambiamento, basato sul progresso degli ultimi anni e ai traguardi raggiunti. È responsabilità di tutti, allenatori e attori del panorama sportivo, agire in modo che ciò che non va’ venga corretto e non siano soltanto normative presenti sulla carta.